Gli expat e la famiglia d’origine

Parenti serpenti. Chi vuol vivere e star sano, dai parenti stia lontano. Suocera e nuora, tempesta e gragnola. È nozione comune e causa di innumerevole battute e proverbi che i rapporti con la famiglia allargata siano spesso complicati, se non addirittura conflittuali. L’essere expatriate aggiunge alle dinamiche familiari un ulteriore elemento di complessità e spesso tensione. Per qualsiasi motivo si sia lasciato il paese d’origine, il distacco è spesso vissuto con dispiaceri, rimproveri, senso di colpa, rancori da una o entrambe le parti. I familiari che rimangono “a casa” possono facilmente sentirsi abbandonati o arrivare persino a considerare il trasferimento come un tradimento. Frasi del tipo: “Te ne sei andata e non sai più niente di quello che succede qui”, “Non ci pensi che papà sta invecchiando?”, “Hai lasciato tutto sulle mie spalle!”, “Mi hai portato via i nipoti!!”, diventano accuse che tendono a ripresentarsi in ogni conversazione, a prescindere dall’argomento iniziale. D’altra parte, succede anche che chi parte si senta abbandonato, dimenticato dalla famiglia che, a casa, sembra continuare la propria vita come se niente fosse. Questo tende ad accadere particolarmente se il trasferimento non è stato voluto, ma vissuto come imposto dalle circostanze.

Altro caso molto comune è il senso di estraniamento che l’expat può sperimentare tornando a casa. Si prova quasi una sensazione di tornare indietro nel tempo, stupendosi di come sia possibile che gli altri siano rimasti lì a fare la stessa vita, mentre per noi sembra essere cambiato tutto. Sia che si ritorni a casa o che si cerchi di mantenere i rapporti a distanza, la difficoltà per l’expat di trasmettere il cambiamento che avviene nel mondo interiore, come in quello circostante, colora tutta la relazione con familiari e amici lontani. Questo crea facilmente difficoltà di comunicazione e un progressivo allentarsi delle relazioni significative.

Nella mia pratica professionale mi è anche capitato più volte di notare una regressione in concomitanza con un rientro a casa o una ripresa dei rapporti con alcuni familiari. Questo si verifica in particolare quando era presente una dinamica conflittuale nelle relazioni familiari. Con il distacco procurato dal trasferimento, inizia spesso un’evoluzione della persona, che conquista, spesso per la prima volta, l’indipendenza ed un nuovo equilibrio. Nel caso in cui le vecchie dinamiche familiari siano però rimaste irrisolte, è fin troppo facile ricaderci con la ripresa dei contatti e soprattutto ritrovandosi nel setting originario (la casa, la famiglia, il quartiere, i vecchi amici). Di nuovo, è come un viaggio indietro nel tempo, fino ad avere la sensazione di perdere i progressi fatti, a livello personale, nella nuova vita. Esemplificava bene questa sensazione un mio cliente che raccontava come, trovandosi seduto a tavola per la cena di Natale con genitori, nonni e zii, era assalito dalla sensazione di diventare “una versione sbiadita” di sé stesso. Tanto da ritrovarsi, come in passato, ad ascoltare il vecchio zio che si vanta del figlio peraltro mediocre, senza riuscire da parte sua riuscire a dire una parola sui propri successi professionali, la vita interessante, le mille esperienze.

Questo accade quando si mette in atto il cambiamento, senza però processarlo; da qui l’incapacità di farlo proprio e “portarlo con sé” nel setting originario. Per alcuni è come se i cambiamenti e le conquiste fatti fossero intrinsecamente legati al nuovo paese, per cui spostarsi significa spogliarsi di un abito per tornare a indossare quello di un tempo, nonostante sia ormai diventato stretto. In questi casi, la terapia offre la possibilità di lavorare sul processo mancato, che si può sempre recuperare, attraverso l’elaborazione del distacco, la presa di consapevolezza dello sviluppo del se’, la ridefinizione delle relazioni interpersonali.

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