Già da molto prima della nascita della psicologia come scienza, nel corso della storia sono state scritte pagine infinite sulla donna, la sua natura, femminilità, sessualità, presunta debolezza o forza, ma soprattutto sull’abilità delle donne di ispirare, dannare, redimere, supportare, ingannare, sedurre, nutrire, prendersi cura degli uomini. Non importa se come compagne, madri, amanti o oggetto d’amore o desiderio, le donne sono state a lungo considerate soprattutto in relazione agli uomini nella loro vita. E educate a fare lo stesso.
Da diversi decenni ormai le donne hanno intrapreso il lungo cammino per conquistare un ruolo diverso nella società. Si tratta di un cammino collettivo, che è avanzato tra mille ostacoli, si è preso alcune lunghe pause, è ripartito. Si tratta anche di un cammino individuale, che a seconda delle circostanze può essere più o meno difficoltoso. La realizzazione del se’ è infatti per molte donne ancora un percorso pieno di ostacoli, se non addirittura un traguardo nebuloso e difficile da identificare.

Se da una parte viene immediatamente da pensare al campo professionale, in realtà il processo cui mi riferisco va ben al di là di lavoro o carriera. Infatti, anche per quelle donne che per necessità o per scelta lavorano esclusivamente in casa, l’esigenza della realizzazione del se’, nonché del suo riconoscimento da parte del compagno, della famiglia, della società, rimane essenziale. Troppo spesso il valore del lavoro svolte da donne in questa posizione non viene riconosciuto, il loro ruolo anzi dato per scontato, la fatica e il carico mentale ignorati, l’individualità soppressa fino a diventare un mero strumento in funzione dell’altro. La terapia gioca un ruolo fondamentale per queste donne per ritrovare, o a volte acquisire per la prima volta, un’autonomia del se’, pur salvaguardando il proprio ruolo.
La situazione delle donne che lavorano fuori da casa si è andata progressivamente complicando negli ultimi venti o trenta anni. La conquista di nuovi spazi d’azione, dal dopoguerra in poi, l’emancipazione della donna degli anni Settanta, l’ingresso in sempre nuovi ambiti lavorativi, non hanno trovato riscontro adeguato nella società, che non ha saputo o voluto sopperire a parte dei compiti tradizionalmente svolti pressoché esclusivamente dalle donne, in particolare fallendo completamente nella fornitura di servizi per l’infanzia. Molte donne si sono così ritrovate a dover ricoprire simultaneamente una molteplicità di ruoli, sostenendo carichi di lavoro doppi, senza riconoscimento e con minimo supporto esterno. Ne deriva una condizione di stress prolungato, ansia, senso di inadeguatezza, tensioni col partner e all’interno della famiglia.
L’Italia è poi un paese che deve fare ancora molta strada nel riconoscimento dei diritti e del ruolo delle donne nella società. Esempi di oggettivazione e svilimento della donna sono onnipresenti nella cultura e nei costumi italiani, eppure ancora spesso sminuiti e ignorati, parimenti da uomini e donne, liquidati come episodi di scarsa importanza, quando non addirittura attribuiti ad una eccessiva sensibilità o rigidità di quante/i vi si oppongono.
Come donna, compagna, madre, professionista, ho vissuto tutte queste esperienze sulla mia pelle. Ho compiuto un lungo cammino per prendere consapevolezza dell’importanza di quella realizzazione del se’, per me come per ogni donna. Considero un mio privilegio accompagnare le donne che intraprendono quel cammino.